Il controllo del dipendente con agenzia investigativa

Marco Strada DiMarco Strada
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La Corte di Cassazione (sentenza n. 4670/19) si pronuncia sul licenziamento di un lavoratore che aveva richiesto i permessi previsti dalla L. 104/92 per assistenza a un proprio familiare ma era stato sorpreso a utilizzarli per altri fini.

Nel merito, la Corte ha ritenuto che il lavoratore, “abusando” del diritto concessogli, avesse posto in essere un comportamento tale da rendere legittimo il licenziamento. Per alcune nozioni generali sul licenziamento disciplinare del lavoratore è possibile fare riferimento a questo articolo.

Il datore di lavoro era venuto a conoscenza del comportamento del lavoratore attraverso l’opera di un’agenzia investigativa, incaricata di sorvegliarlo per verificare la corretta fruizione dei permessi. Il lavoratore, ricorrendo in cassazione, lamentava che tale sorveglianza fosse illegittima e i suoi risultati non potessero quindi essere utilizzati nel giudizio.

La sorveglianza nello Statuto dei Lavoratori

Il datore di lavoro non ha poteri illimitati nella sorveglianza dei propri lavoratori. Lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/70) ha limitato fortemente le sue facoltà, anche in risposta ad alcuni eccessi verificatisi nel periodo precedente.

La legge dedica alla tutela del lavoratore dalla sorveglianza del datore i suoi primi articoli.

Raffrontando l’articolo 2 (Guardie Giurate), l’articolo 3 (Personale di vigilanza), l’articolo 4 (Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo), l’articolo 8 (Divieto di indagini sulle opinioni) e la giurisprudenza consolidatasi nei decenni sulla loro interpretazioni, si ricavano alcuni principi in materia.

1) Il lavoratore dev’essere informato dei modi, luoghi e persone da cui può essere sorvegliato nello svolgimento della propria attività lavorativa: è precluso al datore ogni controllo dell’attività lavorativa effettuato all’insaputa del dipendente e con caratteri di “segretezza”, ad esempio utilizzando telecamere nascoste.

2) Il datore non può servirsi di terzi per controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative (e quindi le mancanze dei dipendenti): questa sorveglianza è lecita solo se svolta direttamente dal datore o dalla sua organizzazione gerarchica.

Sarebbe quindi certamente illegittimo l’utilizzo di agenzie investigative per sorvegliare il lavoratore a sua insaputa mentre svolge la sua attività lavorativa, al fine diverificare il digilente adempimento delle sue mansioni.

Lo spazio di legittimità delle agenzie di vigilanza

La Corte ha ritenuto legittima la sorveglianza effettuata dal datore mediante l’agenzia, evidenziando la differenza tra il caso in esame e quelli in cui il controllo è vietato.

Infatti, per definizione, il lavoratore che fruisce di un permesso non sta svolgendo la propria attività lavorativa. In questo caso, il rapporto si trova in una fase di sospensione: alcuni comportamenti del dipendente (per esempio svolgere attività in concorrenza con la sua impresa o, come nel caso trattato, abusare di un permesso richiesto per assistere un familiare disabile) hanno comunque rilevanza disciplinare, anche al fine di un licenziamento, ma il lavoratore non può avvalersi della stessa tutela concessagli dallo Statuto quando svolge le proprie mansioni.

Non è quindi vietato sorvegliare il lavoratore in permesso, anche servendosi di un’agenzia investigativa privata, per verificare eventuali abusi. Rimangono ovviamente validi tutti gli altri limiti previsti dall’ordinamento (per esempio sulle intercettazioni) e il divieto generale posto dallo Statuto a qualsiasi indagine che riguardi le “opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore”.

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