Obbligo di “repechage” e part-time

Marco Strada DiMarco Strada
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Il licenziamento di un lavoratore dev’essere motivato da ragioni che il nostro ordinamento considera legittime e seguire le procedure previste dalla legge o elaborate dalla giurisprudenza.

Uno dei casi di licenziamento consentiti è quello per “giustificato motivo oggettivo” (GMO): la soppressione di un posto di lavoro causata da ragioni riguardanti il datore di lavoro e non il lavoratore, ad esempio una situazione di crisi economica con necessità di ridurre il personale.

L’obbligo di repechage

Prima di procedere a un licenziamento per GMO, il datore di lavoro deve (tra l’altro) fare il possibile per mantenere l’impiego del dipendente in esubero nonostante la soppressione del posto di lavoro già ricoperto dal lavoratore. Questa procedura viene chiamata “repechage” o “ripescaggio”.

Ad esempio, quando l’attività precedentemente svolta da un dipendente viene esternalizzata a terzi ma esistono altri ruoli “scoperti” all’interno dell’azienda, per i quali si sta ricercando personale, è necessario valutare se il lavoratore “in esubero” abbia le qualifiche per ricoprirli e, in questo caso, offrirgli il nuovo posto di lavoro prima di procedere al licenziamento.

Potrebbe però accadere che il nuovo ruolo da offrire al dipendente non consenta l’impiego per lo stesso orario svolto in precedenza: ad esempio, nel caso di soppressione di un posto di lavoro “a tempo pieno”, il lavoratore potrebbe ancora essere utilmente impiegato dall’azienda ma solo attraverso un rapporto “part time”. In questo caso, come deve procedere il datore?

Il problema del part-time

Va precisato che un datore di lavoro non può ridurre l’orario di lavoro di un dipendente senza il suo consenso. Per tutelare la libertà del lavoratore nell’acconsentire o meno alla trasformazione, è inoltre previsto che “Il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento” (d.lgs. 81/15, art. 6, co. 8).

L’offerta del posto di lavoro part time a un dipendente impiegato a tempo pieno in esubero, seguita dal suo licenziamento per GMO in caso di rifiuto, costituisce quindi una procedura doverosa di “repechage” o un comportamento vietato dalla legge?

L’Ordinanza n. 1499/19 e il corretto inquadramento della vicenda

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 1499/19, ha (sinteticamente) ritenuto che l’offerta di un posto di lavoro part-time costituisse prova dell’adempimento all’obbligo di repechage. Il licenziamento a seguito del rifiuto del lavoratore non è quindi stato ritenuto un comportamento illegittimo.

La pronuncia è condivisibile, una volta inquadrato correttamente il problema.

Il contrasto tra l’obbligo di repechage con offerta di contratto a tempo parziale e il divieto previsto dal d.lgs. 81/15 è solo apparente: il rifiuto del lavoratore, in questo caso non è il giustificato motivo oggettivo del licenziamento.

Il GMO deve infatti preesistere alla soppressione del posto di lavoro a tempo pieno: proprio l’esistenza del GMO -che dev’essere reale e non “costruito ad arte” per “liberarsi” di un lavoratore sgradito- è il principio da cui ha origine la procedura di “repechage”, nella quale può essere formulata anche l’offerta di un posto di lavoro con orario diverso dal precedente.

Come procedere

Sarebbe quindi illegittima una procedura di licenziamento nella quale, dopo il rifiuto del lavoratore a ridurre il proprio orario di lavoro, il datore di lavoro proceda al licenziamento indicando proprio tale rifiuto come giustificato motivo oggettivo a fondamento della soppressione del posto di lavoro.

Al contrario, per provare che l’offerta di modifica dell’orario costituisce legittimo e doveroso adempimento dell’obbligo di repechage, è opportuno che la stessa sia scritta e motivata con indicazione almeno sintetica delle ragioni già emerse e che rendano necessaria la prevedibile soppressione del posto di lavoro a tempo pieno: in questo modo, anche il lavoratore potrà valutare adeguatamente le prospettive e opportunità della propria scelta.

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