La sentenza della Corte di Cassazione n. 5803/2019, alla quale è dedicato anche questo articolo, chiarisce alcuni aspetti controversi sul recesso per giusta causa nella locazione.
Per comprendere la pronuncia, è opportuna una breve premessa.
La L. 392/78, “disciplina delle locazioni di immobili urbani”, fissa in modo tendenzialmente inderogabile la durata dei rapporti tra locatore e conduttore.
L’autonomia delle parti viene limitata per evitare che il conduttore / inquilino, considerato soggetto “debole” rispetto al locatore / proprietario, possa trovarsi costretto ad accettare una durata troppo breve. Una certa “stabilità” nel rapporto di locazione risulta necessaria per consentire il normale utilizzo di un immobile, sia nell’uso abitativo che non abitativo.
D’altra parte, il legislatore ha voluto evitare che la durata minima prevista a favore dell’inquilino potesse diventare un capestro per quest’ultimo. È quindi previsto espressamente che le parti possano consentire il suo recesso prima del termine del contratto.
Il recesso del conduttore / inquilino è comunque consentito, con preavviso di sei mesi, anche se non previsto dal contratto, quando “ricorrano gravi motivi”.
Al diritto di recesso del conduttore si oppone il diritto del proprietario a pretendere il canone per il tempo pattuito dal contratto.
In difetto di pattuizione per libero recesso, accordo o richieste da parte di nuovi conduttori, è quindi possibile che, di fronte a un recesso “per gravi motivi”, il proprietario ne contesti la legittimità .
In caso di controversia e di opposizione del locatore, la mancanza dei “gravi motivi” fonderebbe il diritto del locatore a richiedere i canoni pattuiti anche dopo la riconsegna dell’immobile.
Quando, allora, esistono “gravi motivi”?
Non è possibile tracciare confini fissi ed è necessaria un’analisi caso per caso, valutando anche gli eventuali precedenti trattati dalla Corte di Cassazione.
Nella sentenza n. 26711/2011, tra le altre, viene precisato che, per legittimare il recesso, un evento dev’essere:
In caso di controversia, dev’essere il conduttore a provare che i gravi motivi esistono nella fattispecie.
Il caso trattato dalla sentenza della sentenza n. 5803/19 si pone in una zona di confine.
Abbiamo chiarito che i “gravi motivi” di recesso devono risultare estranei alla volontà del conduttore / inquilino.
Nel caso trattato dalla Corte, la società A, controllata dalla società B (proprietaria del 100% del capitale sociale), aveva subito una riduzione delle commesse e aveva quindi esercitato il recesso “per gravi motivi” dalla locazione di un immobile, per trasferire in altro immobile il proprio centro direzionale con l’obiettivo di contenere i costi.
C, proprietario dell’immobile, aveva contestato la legittimità del recesso, evidenziando:
I primi due gradi di giudizio avevano accolto la tesi di C, locatore, e condannato il conduttore al pagamento degli ulteriori canoni dovuti fino alla scadenza.
La Corte di Cassazione ribalta il risultato.
Innanzitutto, la Corte osserva che l’esistenza di un margine di scelta imprenditoriale non esclude la legittimità di un recesso quando sia comunque accertato uno stato di crisi tale da poter costituire “grave motivo”.
Inoltre, la Corte evidenzia che la crisi non deve coinvolgere l’impresa nel suo complesso. Quando un’attività viene gestita attraverso distinti rami d’azienda collocati in immobili diversi, la legittimità del recesso va valutata con riguardo alla specifica attività esercitata nell’immobile oggetto della locazione. Se la prosecuzione dell’attività nell’immobile risulta “oltremodo gravosa”, l’eventuale andamento positivo dell’impresa nel suo complesso non può avere alcuna rilevanza.