Ferie non godute – regole e tassazione

Marco Strada DiMarco Strada
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La Corte di Cassazione si è pronunciata recentemente (Ordinanza 5482/2019) sulla tassazione da applicare all’indennità per ferie non godute.

Attualmente, il pagamento di una somma per compensare il mancato godimento delle ferie è un caso residuale. Infatti, in generale, lo svolgimento delle ferie è obbligatorio e non può essere sostituito da maggiorazioni retributive.

Per comprendere gli spazi rimasti alla monetizzazione delle ferie e l’esito della sentenza, è necessaria una breve premessa.

Il divieto alla monetizzazione delle ferie.

La Costituzione (art. 36), stabilendo il diritto alle ferie, precisa che il lavoratore “non può rinunziarvi.

La previsione ha lo scopo di garantire il recupero delle energie psicofisiche della persona e quindi, per estensione, il suo diritto alla salute. Questo permette di comprenderne la rigidità.

La sola normativa costituzionale, tuttavia, lasciava lo spazio ad accordi che prevedessero, a posteriori, una compensazione economica (c.d. “indennità”) per le ferie che non fossero state godute.

Il decreto legislativo 66/2003 ha scelto di tutelare il lavoratore anche contro sé stesso, non ritenendo possibile la compressione di un diritto correlato alla salute per controprestazioni di natura economica. L’art. 10 pone quindi alcune regole:

  • il prestatore di lavoro ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane
  • tale periodo minimo va goduto per almeno due settimane (consecutive, se il lavoratore lo richiede) nel corso dell’anno di maturazione
  • le restanti due settimane vanno comunque godute nei 18 mesi successivi all’anno di maturazione
  • questo periodo minimo non può essere sostituito da un’indennità per ferie non godute.

Il mancato godimento delle ferie nei termini indicati dalla legge espone il datore di lavoro a sanzioni amministrative e al rischio di dover risarcire al lavoratore i danni derivanti dalla mancata fruizione.

Le eccezioni

Le conseguenze negative per il datore vengono meno qualora la mancata fruizione delle ferie sia dipesa da un irragionevole rifiuto del lavoratore a tutte le soluzioni proposte per contemperare il suo diritto alle ferie con le esigenze aziendali

L’obbligo di effettivo godimento delle ferie cade e risulta ammissibile l’indennità sostitutiva delle ferie, per espressa previsione del Decreto Legislativo n. 66/2003, nel caso in cui il rapporto di lavoro sia cessato durante l’anno.

La sostituzione con l’indennità sostitutiva è possibile anche quanto il contratto collettivo applicato preveda il diritto a ferie più lunghe rispetto al periodo minimo di quattro settimane. In questo caso, i giorni eccedenti sono un diritto previsto contrattualmente ma non inviolabile per legge.

La natura dell’indennità sostitutiva: retribuzione o risarcimento?

In generale, tutte le somme corrisposte in relazione al rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale e previdenziale della retribuzione.

Fanno eccezione gli importi che il lavoratore riceva come risarcimento di un danno. In questi casi, la somma non è un “guadagno” per il lavoratore (e quindi non farà parte del suo “reddito”): l’importo gli viene corrisposto per colmare una perdita subita (ad esempio riguardante il suo diritto alla salute) e quindi non sarà sarà soggetto a contributi previdenziali e imposte.

L’indennità sostitutiva, astrattamente, potrebbe rispondere a entrambi i profili.

Si tratta di un importo corrisposto in relazione a un rapporto di lavoro subordinato, senza necessità di provare una specifica voce di danno.

Tuttavia, le ferie hanno la funzione di tutelare la salute psicofisica di un individuo e la loro mancata fruizione può creare un danno, con diritto del lavoratore di agire in giudizio per il suo risarcimento. L’indennità sostitutiva (pur limitata agli spazi di applicazione oggi rimasti) ha certamente anche la funzione di ristorare il lavoratore, in modo forfettizzato e senza necessità di provare un danno specifico, delle conseguenze negative causate dal mancato pieno godimento delle ferie cui aveva diritto.

L’orientamento della Corte di Cassazione

Un lavoratore aveva instaurato giudizio tributario per ottenere la restituzione delle imposte applicate sull’indennità sostitutiva delle ferie.

Il lavoratore sosteneva che la natura dell’indennità fosse risarcitoria e il suo pagamento non potesse costituire reddito da lavoro subordinato.

La tesi del lavoratore era stata accolta dalla Commissione Tributaria Regionale. L’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso per Cassazione.

Non è il primo caso in cui le sentenze di merito riconoscono che l’indennità sostitutiva delle ferie costituirebbe una somma esente da imposizione. È possibile individuare in diverse sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali un orientamento che considera l’indennità come destinata a risarcire il danno subito dal lavoratore per la mancata fruizione delle ferie, quindi esente da imposizione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5482/2019, ha ribaltato la sentenza della CTR, accogliendo l’impugnazione dell’agenzia

La Corte, in particolare, non esclude che l’indennità abbia “anche” natura risarcitoria: precisa però che questo aspetto concorre con un “carattere retributivo” e che l’indennità risulta “corrispettivo” per le prestazioni di lavoro effettuate nel periodo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo.

Secondo la Corte, questo conduce all’inevitabile applicazione del regime fiscale destinato alla retribuzione e delle relative imposte.

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