La domiciliarità innovativa

Marco Strada DiMarco Strada
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L’innalzamento dell’età media della popolazione è un problema di sempre maggiori risalto e rilevanza.

La persona anziana, a causa di malattie o per l’incedere dell’età, si può trovare in situazioni di incapacità, almeno parziale, a svolgere tutte le attività di gestione della propria vita quotidiana.

Talvolta è possibile sopperire alle limitazioni all’autonomia attraverso l’opera dei familiari o il ricorso a rapporti di collaborazione familiare.

Nei casi in cui questo non sia possibile (familiari lontani o comunque impossibilitati a prendersi cura dell’anziano, situazione reddituale insufficiente ad assumere un collaboratore familiare), spesso l’unica alternativa è la collocazione della persona non autosufficiente all’interno di un istituto.

I problemi dell’istituzionalizzazione

Prendiamo a esempio una persona lucida e cosciente, che si trovi in condizione di parziale non autosufficienza. In particolare, il caso tipico di un anziano con difficoltà nella deambulazione o nei movimenti necessari al compimento delle faccende domestiche ma non in stato di completa invalidità.

Per soggetti con tali caratteristiche, la collocazione in una tipica residenza sanitaria può determinare un insieme “fisiologico” di rischi e problematiche.

  • allontanamento dal contesto sociale dove la persona anziana e/o comunque bisognosa di assistenza aveva vissuto;
  • conseguente stravolgimento delle abitudini della persona e isolamento rispetto ai rapporti interpersonali maturati nel tempo;
  • necessità di sottostare a un complesso di regole imposte dall’esterno e non discutibili, necessarie per la convivenza di un ampio numero di persone all’interno della stessa struttura;
  • rischio, in relazione al collocamento all’interno di strutture ampie, di una -necessaria- spersonalizzazione del singolo individuo e delle sue esigenze.

Nelle ipotesi di completa invalidità e/o necessità di assistenza sanitaria da prestarsi in via continuativa, l’istituzionalizzazione può risultare una conseguenza necessitata. Esiste però un universo di casi meno gravi nei quali si giunge alla collocazione in residenze sanitarie solo per la mancanza di soluzioni meno gravose, ritagliate in maniera tale da adeguarsi meglio ai bisogni del destinatario.

La normativa del Friuli-Venezia Giulia

Il percorso (cenni)

La Regione Friuli Venezia Giulia ha mostrato attenzione al fenomeno e incentivato, nel tempo, una serie di misure di welfare alternative all’istituzionalizzazione.

Già nella Legge Regionale n. 10/1998 “in materia di tutela della salute e di promozione sociale delle persone anziane“, tra i mezzi per realizzare la finalità di “favorire il riconoscimento ed il rispetto dei diritti delle persone anziane“, anche “attraverso (…) la valorizzazione del ruolo dell’anziano“, venivano sottolineati:

  • la permanenza dell’anziano nel proprio contesto familiare e sociale;
  • il pieno coinvolgimento dell’anziano e della sua famiglia nelle forme di assistenza.

Questi principi rimanevano evidenti e venivano meglio specificati nei successivi interventi normativi.

Per esempio, secondo la Legge Regionale n. 22/2014, la Regione guarda con ulteriore favore le iniziative che evitino il più a lungo possibile l’inserimento in strutture residenziali, isolamento ed emarginazione sociale, promuovendo tra l’altro:

  • ogni azione utile a supportare le famiglie per la permanenza della persona anziana nel contesto domiciliare;
  • interventi e azioni finalizzati a sostenere la dignità, l’autonomia, la libera scelta e l’autodeterminazione della persona anziana;
  • la co-residenza degli anziani;
  • politiche sociali e sanitarie in favore della domiciliarità intesa come sostegno alla persona anziana nel suo contesto familiare e territoriale.

Le linee guida

In questo percorso si collocano anche le linee guida per le sperimentazioni “abitare possibile” e “domiciliarità innovativa”, approvate con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 671/2015 e revisionate con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 2089/2017.

Gli strumenti sperimentali sopra citati si distinguono tra loro, innanzitutto, dal punto di vista dimensionale.

“Abitare possibile” si riferisce, in estrema sintesi, a “strutture residenziali” seppur gestite con modalità innovative. Gli immobili destinati a queste sperimentazioni possono ospitare, per esempio, fino a un massimo di 20 persone non autosufficienti, con suddivisione in unità abitative destinate ad utenti singoli o coppie.

Gli interventi di “Domiciliarità innovativa”, come chiarito dalle linee guida, “si propongono di realizzare, in alternativa alle tradizionali residenze per anziani non autosufficienti e per persone con disabilità (…), forme abitative sperimentali, destinate a riprodurre un ambiente di vita assimilabile a quello familiare“.

La domiciliarità innovativa nelle linee guida del Friuli-Venezia Giulia

I caratteri distintivi

Come anticipato, le iniziative di domiciliarità innovativa hanno l’obiettivo di realizzare delle singole unità abitative, destinate

  • a persone anziane in condizione di parziale o totale non autosufficienza, o a persone con disabilità;
  • a creare degli ambienti simili, per gli ospiti, a quello familiare.

Le linee guida prevedono che ogni progetto di domiciliarità possa accogliere un massimo di 5 assistiti. La Regione può aumentare il numero fino a dieci assistiti, ma solo in via eccezionale e sulla base di particolari bisogni assistenziali delle persone inserite.

Il ristretto numero di assistiti è un tratto caratterizzante della domiciliarità innovativa. Alla standardizzazione, necessaria per la gestione di un alto numero di ospiti, viene quindi sostituita un’attenzione particolare alle esigenze di ogni individuo. Il singolo ospite non è “uno dei tanti” ma diventa fondamentale per la prosecuzione dell’iniziativa, che deve tenere conto delle sue esigenze.

Allo stesso tempo, le minori risorse economiche destinate a mantenere una unità abitativa destinata a pochi ospiti, rispetto a quelle complessivamente necessarie per una residenza sanitaria con decine di posti letto, rende sostenibile l’avviamento di progetti anche in zone periferiche del territorio Regionale. Diventa quindi possibile evitare lo sradicamento dell’assistito dai luoghi dove ha passato la vita e mantiene le proprie amicizie e conoscenze.

L’immobile

L’immobile dev’essere idoneo a soddisfare le esigenze di persone non completamente autosufficienti e a favorire la loro presenza attiva nella società locale, evitandone l’isolamento. Non necessita, invece, di tutte le più rigorose caratteristiche necessarie a una residenza sanitaria o a un progetto “abitare possibile”.

Le linee guida prevedono, in estrema sintesi e con riguardo alle caratteristiche principali, che l’immobile:

  • si trovi trovi in posizione “strategica”, per esempio in prossimità delle strade principali o piazze, municipio, luoghi di culto, farmacie, poliambulatori
  • sia raggiungibile con i mezzi pubblici
  • sia raggiungibile e fruibile nei suoi spazi da persone con disabilità
    • è fondamentale che sia possibile l’accesso e il movimento all’interno anche utilizzando una sedia a ruote, eliminando barriere architettoniche; preferibile che vengano adottate anche misure utili a persone con disabilità sensoriali;
    • dev’essere arredato in modo tale da garantire l’utilizzo di ambienti e attrezzature anche a persone non completamente autosufficienti;
    • Devono essere adottate tutte le azioni necessarie per prevenire il rischio di cadute o infortuni, le scale devono essere dotate di corrimano e strisce antistrucciolo;
  • abbia a disposizione spazi sufficienti, tra cui
    • camere da letto o uno spazio letto per 1-2 persone
    • zona soggiorno/pranzo, con angolo cottura;
    • almeno una stanza da bagno completa, accessibile e fruibile da persone su sedia a ruote, abbastanza ampia per un’assistenza ottimale e dotata di serrature che permettano l’apertura dall’esterno in caso di necessità.

Chi gestisce il progetto

Le linee guida prevedono che le sperimentazioni siano avviate, oltre che su iniziativa di soggetti pubblici, anche da privati senza scopo di lucro.

La nozione di “privati senza scopo di lucro” è molto ampia. In particolare, non si parla necessariamente di enti del terzo settore, essendo possibile comprendere anche la semplice associazione.

Le linee guida, non a caso, valorizzano il concetto di “capacitazione”. I destinatari dell’assistenza non sono visti come soggetti passivi, al contrario l’obiettivo è permettere “agli individui di vivere in modo responsabile, partecipe e attivo“.

Il progetto di domiciliarità innovativa ben potrebbe essere avviato dagli stessi soggetti che ne saranno destinatari, riuniti in associazione, eventualmente con la sola assistenza di figure professionali esterne per gestire gli aspetti più tecnici. Tra questi, in particolare quelli correlati a:

  • personale assistenziale per le esigenze degli ospiti,
  • contribuzioni pubbliche (in particolare il fondo per l’autonomia possibile)
  • adempimenti fiscali, di sicurezza e sanitari.

Questa soluzione, oltre ad apparire la più coerente con le finalità delle linee guida, consentirebbe ai destinatari di mantenere il pieno controllo sulle proprie necessità e sulla gestione dell’unità abitativa.

L’avviamento

Per avviare il progetto è necessario stipulare un accordo di partenariato con

  • l’Azienda Sanitaria competente
  • l’UTI di riferimento
  • eventuali ulteriori soggetti pubblici o privati rilevanti ai fini delle sperimentazioni

Il progetto viene avviato con domanda alla Direzione Centrale Salute, che lo valuta e lo approva sulla base di punteggi attribuiti alle seguenti caratteristiche

  • elementi di innovazione
  • accordi di partenariato
  • qualità dei luoghi della sperimentazione
  • coinvolgimento delle persone e delle loro famiglie nella definizione dei bisogni e nella predisposizione di un progetto personalizzato, con chiara identificazione delle responsabilità
  • strumenti e dinamiche per la “coproduzione” del servizio (modalità di produzione attraverso le relazioni collaborative tra utente, professionista e le rispettive reti sociali)
  • promozione e qualificazione delle collaborazioni fra enti e risorse
  • sostenibilità nel tempo dei legami e delle iniziative
  • sostenibilità economica e gestionale
  • replicabilità

Il valore dell’approvazione regionale

In via generale, un progetto con le caratteristiche sopra indicate potrebbe essere avviato anche privatamente, senza necessità di approvazione Regionale.

Tale approvazione ha il duplice vantaggio di:

-consentire al progetto di partecipare agli eventuali bandi di finanziamento pubblicati nel corso del tempo;

-formalizzare un rapporto di rete con gli organismi pubblici.

Tuttavia, come anticipato, non si tratta di una condizione di liceità.

Gli interessati ad avviare analoghe iniziative possono quindi provvedere autonomamente, soprattutto nei casi di urgenza, ritagliando un progetto sulla base delle proprie specifiche esigenze e valutando in un secondo momento se adattarlo al modello Regionale.

Adattamento che può anche essere valutato, nel tempo, sulla base delle opportunità offerte da una normativa che, cercando risposte a un problema moderno, è da anni in costante evoluzione e progressione.

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2 Commenti finora

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PAOLA LERUSSIPubblicato il5:04 pm - Feb 3, 2020

Buonasera Collega.
Ho letto il Suo articolo in quanto una cliente (APS) mi ha chiesto di redigere dei contratti relativi alla domiciliarità innovativa.
Esistono già dei fac simile?
avv. Paola Lerussi
Udine
04321607075

    Marco Strada

    Marco StradaPubblicato il4:12 pm - Feb 10, 2020

    Buonasera Collega.

    Per la vera e propria contrattualistica relativa al funzionamento della sperimentazione in materia di domiciliarità innovativa non mi risulta esistano contratti fac simile ufficialmente approvati.
    Esistono invece dei modelli fac simile, presenti nell’allegato alla delibera n. 2089 del 26/11/2017, per il carteggio con gli enti pubblici, tra cui domanda di adesione e accordo di partenariato.

    Resto a disposizione per ogni eventuale confronto.

    Un cordiale saluto.

    Marco Strada

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