Raramente chi stipula un contratto di assicurazione legge accuratamente il suo testo prima di procedere alla sottoscrizione. È ancora più raro che vengano esaminate le condizioni generali della polizza, solo richiamate nei modelli proposti.
Purtroppo, la prima vera lettura avviene nel momento in cui l‘assicurato chiede indennizzo per un sinistro e la compagnia nega la copertura. Questo accade non solo per i consumatori ma -di frequente- anche per professionisti e imprenditori.
Il legislatore ha preso atto della prassi, imponendo alle compagnie assicurative particolari oneri di chiarezza. La Cassazione, con la recente sentenza 15598 del 2019, ha fatto ulteriore chiarezza sulla redazione dei contratti e sulla tutela dell’assicurato.
Concentrando l’attenzione sulle regole generali previste anche per imprenditori e professionisti (e lasciando da parte la maggiore tutela prevista per i consumatori), esistono una serie di strumenti per evitare pratiche scorrette.
Nella prassi assicurativa, il contratto stipulato è composto da due parti.
Il testo sottoscritto dall’assicurato si limita a richiamare il relativo fascicolo di condizioni generali, normalmente corpose.
Le condizioni generali predisposte da una parte del contratto devono essere messe a disposizione della controparte per esaminarle prima della sottoscrizione. Infatti, queste sono efficaci solo se chi vi aderisce le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 c.c.).
Nella prassi, le condizioni sono consegnate al contraente solo al momento della stipulazione o su espressa richiesta. Questo non incide sulla “conoscibilità”, dal momento che le condizioni generali sono normalmente messe a disposizione di tutti gli interessati almeno mediante pubblicazione sul sito internet della compagnia.
Spesso, nella prassi commerciale -prima ancora che assicurativa- i contratti vengono conclusi attraverso moduli o formulari predisposti unilateralmente dal fornitore di beni o prestatore di servizi.
A volte, come nella materia assicurativa, si aggiunge il rimando a condizioni generali a loro volta predisposte da una sola parte contrattuale.
Ovviamente, questo genera uno squilibrio tra le parti.
Il codice civile cerca di limitare gli effetti della differenza nella consapevolezza tra chi predispone un contratto e chi vi aderisce, prevedendo che:
Lasciamo sempre da parte, per non ampliare troppo il discorso, la disciplina di maggior favore prevista per i consumatori, limitandoci a quella generale codicistica.
l’art. 1341 considera vessatorie le clausole, inserite in condizioni generali, moduli o formulari predisposti da una sola parte, che
Queste clausole hanno effetto solo se approvate per iscritto dalla parte che non le ha predisposte, in aggiunta alla sottoscrizione del contratto nel suo complesso.
Il Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/05) prevede che, fuori da specifiche eccezioni, si applicano ai contratti assicurativi le norme del codice civile (art. 165 D.Lgs. 209/05).
Viene previsto come principio generale per i contratti assicurativi (art. 166, co. 1, D.Lgs. 209/05) che questi vadano redatti in modo chiaro ed esauriente.
Subito dopo (art. 166, co. 2) viene stabilito l’obbligo di utilizzare caratteri di particolare evidenza per le clausole che prevedono
I principi sopra esposti si prestano (come spesso accade) a dubbi applicativi e differenti interpretazioni nei casi concreti.
Nel caso in esame, un imprenditore edile era stato ritenuto responsabile, verso il suo cliente, per errori nell’impermeabilizzazione di un immobile che, a seguito di piogge, avevano causato infiltrazioni d’acqua.
L’imprenditore, assicurato per la responsabilità civile, aveva chiesto alla propria assicurazione di essere garantito. La compagnia assicurativa aveva negato la copertura, invocando una clausola, contenuta nelle condizioni generali di polizza, che escludeva dalla garanzia “i danni derivanti da acqua piovana e/o altri eventi atmosferici in genere”.
L’imprenditore riteneva che tale clausola non potesse escludere la copertura. Affermava in particolare che:
La Corte di Cassazione non concorda con la ricostruzione dell’assicurato.
Secondo la Corte è necessario distinguere limitazione di responsabilità (clausola vessatoria) e limitazione di garanzia.
La limitazione di responsabilità, in particolare, è una pattuizione estranea al rapporto tra le parti, che si aggiunge a un contratto di per sé già completo. Si tratta di limitazione alla conseguenze dell’inadempimento di una delle parti -in questo caso l’assicurazione- alle obbligazioni già definite dal contratto.
La limitazione di garanzia, nella materia assicurativa, incide invece sull’oggetto del contratto, precisando l’ambito della copertura assicurativa.
Il principio dell’interpretazione più favorevole a chi non ha predisposto una clausola si applica solo ove esista un dubbio sul suo significato.
La corte, in questo caso, esclude l’esistenza di incertezze.
Il contratto oggetto della controversia era relativo all’assicurazione della responsabilità civile dell’imprenditore per i danni da questo svolti nella sua attività. Le clausole del contratto devono essere interpretate alla luce del tipo di rapporto intercorrente tra assicurato e compagnia.
Pertanto, l’esclusione dalla copertura dei “danni derivanti da acqua piovana e/o altri eventi atmosferici in genere” doveva essere evidentemente riferita ai danni causati da un inadempimento colposo dell’imprenditore.
Limitare la portata della clausola alle ipotesi indipendenti da una responsabilità civile dell’assicurato l’avrebbe privata di qualsiasi rilevanza.
I danni indipendenti dalla responsabilità del contraente (per esempio derivanti da eventi atmosferici tanto violenti da rientrare nel caso fortuito), evidentemente, non comportano una sua responsabilità risarcitoria. Conseguentemente, non sarebbe risultato configurabile nemmeno un indennizzo assicurativo.
Secondo la Cassazione, la clausola limitava legittimamente l’oggetto del contratto, escludendo dalla copertura assicurativa i casi di responsabilità dell’assicurato per danni da infiltrazioni.
Interpretata la clausola come “limitazione di garanzia” e precisato che non si poteva applicare la disciplina prevista per le clausole vessatorie, la Corte ha dovuto affrontare un ultimo problema.
Cosa accade se la clausola di limitazione della garanzia non viene messa in “particolare evidenza”, secondo quanto previsto dal Codice delle Assicurazioni?
La Corte, preso atto che la clausola era contenuta nelle condizioni generali di assicurazione, ha collegato questa regola con i principi previsti dal Codice Civile sulle condizioni generali di contratto (art. 1341, co. 1, c.c.).
Ricordiamo che, le condizioni generali di contratto sono efficaci nei confronti di chi non le ha predisposte solo se potevano essere conosciute con l’ordinaria diligenza.
Il Codice delle assicurazioni private, prevedendo la regola di particolare evidenza per queste clausole, si limiterebbe a indicare i criteri secondo cui dovrebbe essere valutato il livello di conoscibilità delle condizioni generali.
In sintesi
Se la compagnia assicurativa inserisce clausole di limitazione della responsabilità nelle condizioni generali di assicurazione e non utilizza carattere di particolare evidenza, queste clausole saranno inefficaci e non potranno limitare la copertura assicurativa.