Il recesso del socio da una S.R.L.

Marco Strada DiMarco Strada
Per discutere il contenuto dell'articolo e richiedere chiarimenti è possibile lasciare un commento a fondo pagina. Per assistenza e consulenza professionale specifica è possibile scrivere all'indirizzo e-mail info@marcostrada.it o contattare gli altri recapiti dello Studio

Le società di capitali, rispetto a quelle di persone, permettono di costituire uno schermo verso i creditori sociali.

In estrema sintesi (e mettendo da parte in questa sede le eccezioni alla regola), il socio di una società di capitali non rischierà di vedere aggrediti i propri beni personali per pagare i debiti di una società in perdita (rischio che invece esiste, ad esempio per i partecipanti a S.N.C. o per l’accomandatario di una S.A.S.).

Il “rischio” imprenditoriale di ogni socio viene limitato a quanto ha deciso di conferire: i beni e il denaro che ha “investito” per fondare una società o acquistarne una quota di partecipazione.

I creditori sociali sono garantiti, almeno nella visione codicistica, dalla presenza di un “capitale sociale” e di regole destinate a proteggerlo.

Queste regole, particolarmente ferree per le Società per Azioni, diventano meno rigide e onerose nelle Società a Responsabilità Limitata, rendendole spesso il mezzo scelto per gestire imprese di tutte le dimensioni, da piccole realtà comparabili a imprese individuali a strutture consolidate sul piano nazionale.

Può accadere che, nella vita di una S.R.L., uno dei soci decida di abbandonare il progetto sociale e, senza cedere le proprie quote ad altri soggetti, receda dalla società. Cosa accade alle quote di partecipazione?

Il recesso nel Codice Civile

L’articolo di riferimento è il 2473 c.c.

In generale, i casi e le modalità di recesso vengono stabiliti dallo Statuto della società. Viene precisato che in ogni caso i soci possono recedere quando non hanno consentito a:

  • cambiamento dell’oggetto o del tipo di società;
  • operazioni di fusione o scissione;
  • revoca dello stato di liquidazione;
  • trasferimento della sede all’estero;
  • eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo;
  • rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci.

È inoltre previsto un caso particolare di recesso per le società a tempo indeterminato, sul quale torneremo più avanti.

Il codice prevede espressamente che i soci hanno il diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso.

Deve infatti tenersi conto che il valore nominale delle quote, stimato al momento della costituzione di una società e riportato in visura, salve modificazioni societarie, rimane fisso nel tempo, mentre quello “economico” della società varia a seconda della sua crescita o delle sue perdite, in generale della sua appetibilità sul mercato.

Quindi non avrebbe senso restituire al socio uscente la stessa quota da lui precedentemente investita: dove sia impossibile accordarsi sul valore della società, il suo importo verrà stimato con relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale.

Le partecipazioni vanno rimborsate entro 180 giorni dal recesso. Il rimborso può avvenire:

  • mediante acquisto dagli altri soci, proporzionalmente alle loro partecipazioni, o da terzo concordemente individuato tra loro;
  • se questo non avviene, utilizzando riserve disponibili;
  • se non esistono riserve disponibili, riducendo il capitale sociale, con applicazione della procedura prevista dall’articolo 2482 cc .

Se non risulta possibile rimborsare la partecipazione nemmeno utilizzando la procedura di riduzione del capitale sociale, la società viene messa in liquidazione.

La S.R.L. a tempo indeterminato

Una S.R.L. può essere stipulata per un tempo determinato o indeterminato.

L’art. 2473 prevede che nel caso di società contratta a tempo indeterminato il socio può recedere in ogni momento, con preavviso di 180 giorni (che lo statuto può innalzare fino a un anno).

Come visto sopra, il recesso di un socio può risultare traumatico per una società, quando manchi qualsiasi accordo tra le parti sulle modalità dell’uscita.

Può accadere, nei casi di dubbio, che la società non riconosca la legittimità del recesso, rifiutandosi quindi di procedere al rimborso della quota.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8962 del 2019, è tornata sul problema del concetto di società a tempo indeterminato: cosa accade quando la società abbia un termine ma questo risulti abnormemente lungo, al punto da rendere irrealistica la sopravvivenza dei soci fino allo spirare del vincolo?

Un problema simile era stato già affrontato dalla sentenza n. 9962/2013. Al tempo, una società con termine all’anno 2100 aveva deliberato di anticipare il termine al 2050. Uno dei soci, dissenziente, aveva esercitato recesso.

La scelta dei soci per costituire una società “a termine”, secondo la Corte, ha lo scopo di determinarne l’aspettativa di vita in funzione del progetto che ci si aspetta di realizzare attraverso la sua costituzione. Nella sentenza del 2003, la Corte ha ritenuto che una società con un termine eccessivamente lontano nel tempo, tanto da sfuggire a ogni ragionevole orizzonte previsionale sullo sviluppo del progetto societario, deve considerarsi sostanzialmente a tempo indeterminato, e che tale termine potrebbe avere il solo scopo di eludere la disciplina sul recesso del socio.

La sentenza 8962/19

Il caso del 2019 riguardava invece il recesso da società con termine al 2050 (termine approvato dallo stesso socio recedente), motivato dal fatto che la propria aspettativa di vita risultasse inferiore a tale termine e che, pertanto, la società dovesse considerarsi a tempo indeterminato.

Il recedente affermava che dovesse applicarsi analogicamente la disciplina delle società di persone, per le quali è previsto il recesso anche quando la società sia stipulata per tutta la vita di uno dei soci: la giurisprudenza aveva ritenuto che in questo caso il recesso dovesse ammettersi anche quando il termine previsto nell’atto costitutivo risulti superiore alla normale durata della vita umana.

Il giudice di primo grado ha ammesso la legittimità del recesso. Il giudice di appello e la Corte di Cassazione l’hanno esclusa.

La Corte ha innanzitutto chiarito che proprio la presenza di una disciplina diversa tra società di persone e società a responsabilità limitata rileva per escludere che si applichi alle seconde una modalità di recesso (società stipulata per tutta la vita di uno dei soci) presente solo nelle prime.

Ha inoltre precisato i confini del termine tanto lontano da potersi considerare inesistente. L’orizzonte da considerare non è quello dei soci che la compongono (e che potrebbero essere persone fisiche o giuridiche) ma quello della stessa società, del suo scopo.

Quando la durata della società è tanto estesa da sfuggire a ogni ragionevole prospettiva sullo sviluppo del progetto perseguito, e quindi non esistono elementi che consentano di prevederne lo sviluppo fino a una conclusione ragionevolmente collegata al termine previsto, questo risulterà privo di significato, solo un mezzo per escludere il recesso dei partecipanti (espressamente previsto per legge), e la società verrà considerata come a tempo indeterminato.

VALUTAZIONE DEGLI UTENTI
[Voti: 0    Media Voto: 0/5]