Linee guida e buone prassi: per il medico, tutela limitata

Marco Strada DiMarco Strada
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La responsabilità medica ha subito una forte evoluzione nel corso del dopoguerra. I principi che proteggevano “storicamente” la figura del medico da responsabilità sono stati progressivamente scardinati, a favore di una maggiore attenzione verso il diritto fondamentale alla salute protetto dalla Costituzione (art. 32).

Questo sviluppo ha portato spesso a eccessi opposti, con il professionista sanitario esposto al forte rischio di censure ad ogni passaggio della propria attività. La necessaria reazione porta alla cosiddetta “medicina difensiva” (già ampiamente diffusa all’estero, ad esempio negli Stati Uniti): pratiche destinate a tutelare principalmente il professionista da responsabilità ma che scontano il rischio di mettere in secondo piano la tutela del paziente.

Si arriva quindi nuovamente a un potenziale pericolo per il diritto alla salute.

Il legislatore ha cercato di bilanciare gli opposti interessi, prima con il “Decreto Balduzzi” del 2012 e successivamente con la “Legge Gelli-Bianco” del 2017 (che lo ha sostituito sul punto), con l’obiettivo dichiarato di costruire uno spazio di tutela per il professionista sanitario che segua linee guida e raccomandazioni consolidate.

Attualmente, La “Legge Gelli-Bianco” (n. 24 del 2017) esclude la punibilità del professionista sanitario che abbia causato morte o lesioni personali colpose per imperizia ma provi di avere rispettato le “raccomandazioni” previste da “linee guida” approvate secondo un meccanismo previsto dalla legge o “buone pratiche” comunque consolidate nel settore.  Questo, purché linee guida e raccomandazioni siano adeguate alla particolarità del caso concreto.

La Legge Gelli-Bianco ha portato da subito a contrasti nella Corte di Cassazione, rendendo necessaria -vista la delicatezza e importanza della questione- una pronuncia a Sezioni Unite (n. 8770-18) per chiarire i criteri di applicazione della nuova causa di non punibilità.

La Corte ha escluso che l’attuale limitazione di responsabilità penale sia incostituzionale, ricordando anche che la norma esclude solo la responsabilità penale, non essendoci esenzione per quella civile verso il paziente.

Ha però ritenuto non punibile la sola colpa lieve, nonostante la legge Gelli-Bianco non preveda espressamente questo requisito (a differenza del precedente Decreto Balduzzi).

È inoltre protetta solo la colpa da imperizia (il decreto Balduzzi non faceva distinzioni). La questione è importante: nel nostro ordinamento la “colpa”, quando non deriva dalla violazione di norme specifiche, consiste a seconda dei casi in “negligenza” (in estrema sintesi, il difetto di attenzione, la trascuratezza porre in essere i comportamenti dovuti), “imprudenza” (porre in essere comportamenti pericolosi per sé o per altri in mancanza di adeguata riflessione, violando regole di esperienza che avrebbero imposto di astenersi o di utilizzare modalità diverse) e “imperizia” (non osservare le regole tecniche del caso, ad esempio per insufficiente preparazione). In concreto, i confini tra queste forme di colpa tendono a confondersi: questo provocherà prevedibilmente incertezze sull’area di esclusione da responsabilità nel caso concreto.

La colpa, inoltre, deve riguardare solo la fase di applicazione dei comportamenti indicati dalle linee guida o buone pratiche. Il professionista sanitario dev’essere aggiornato sulla loro evoluzione, sceglierle correttamente, valutarle non solo all’inizio ma anche nella prosecuzione del rapporto con il paziente e capire se il caso concreto presenti particolarità che rendano inadeguate le raccomandazioni consolidate.

Infine, l’esenzione risulta inapplicabile ai casi in cui manchino linee guida o buone pratiche, con piena responsabilità del professionista.

Viene quindi escluso che la responsabilità sanitaria possa essere evitata attraverso comportamenti eccessivamente standardizzati, restando insostituibile la valutazione del professionista nel caso concreto e non evitabile la sua responsabilità in caso di errori per colpa anche “lieve” nella scelta delle raccomandazioni adatti al caso o per negligenza o imprudenza nella loro applicazione.

La deroga alla normale responsabilità penale sanitaria risulta quindi limitata e legata a criteri interpretabili, soggetti a prevedibili valutazioni oscillanti caso per caso. Se l’obiettivo della riforma era quello di creare degli schemi di comportamento chiari e degli spazi in cui il professionista potesse muoversi con relativa sicurezza e previsione delle proprie responsabilità, si ritiene che tale obiettivo non possa dirsi raggiunto.   

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