AGGIORNAMENTO: Per una riflessione sul confine tra attività permesse e vietate durante l’emergenza COVID-19 si rimanda alla sezione commenti dell’articolo indicato nel link.
È noto che l’offerta al pubblico di alimenti e bevande è attività soggetta a controlli e requisiti particolarmente rigidi, giustificati dalla necessità di tutelare la salute della persona.
Questi requisiti possono variare in modo rilevante a seconda dell’attività esercitata, con linee di confine che spesso si trasformano in sfumature.
Eppure, la distinzione è costantemente davanti ai nostri occhi nella vita quotidiana, ogni volta che notiamo come una pizzeria al taglio, una gelateria o simili attività che nel pensiero comune appartengono alla “ristorazione” non sono costrette a rispettare i requisiti destinati a bar e ristoranti, ad esempio sulla presenza di servizi igienici destinati al pubblico.
Accostando l’attività di un negozio di generi alimentari, di un laboratorio artigianale e di un bar / ristorante in modo atecnico, può essere difficile individuare una vera distinzione.
In tutti questi casi, il consumatore acquista un prodotto alimentare e, spesso, può consumarlo subito dopo l’acquisto, all’interno o all’esterno del locale a seconda dello spazio disponibile.
La distinzione principale sta nel concetto di “somministrazione” o, più precisamente, di “somministrazione assistita”.
La “somministrazione al pubblico di alimenti o bevande“, come definita dalla legge 287/91 (che prevedeva anche la regolamentazione sull’iscrizione al registro degli esercenti il commercio, oggi abrogata), comprende “tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati“.
La somministrazione, attività “tipica” di bar e ristoranti, si caratterizzerebbe per il fatto che l’esercente mette a disposizione dei clienti degli spazi “attrezzati” a consumare i prodotti, indifferentemente dentro o fuori dai locali.
Non si distinguerebbe per un “modo” di esercitare l’attività (che rimarrebbe di cessione di prodotti alimentari) ma per una caratteristica della struttura dove l’attività viene esercitata, destinata a favorire il consumo sul posto.
Risultano quindi distinti dagli esercizi di somministrazione di alimenti o di bevande:
anche quando i prodotti acquistati vengano consumati all’interno nei locali, purché questi non siano attrezzati allo scopo.
Abbiamo affiancato le categorie dei
Come anticipato, non tutti sono soggetti agli stessi requisiti.
Va innanzitutto chiarito che tutti gli esercenti sopra citati sono operatori del settore alimentare ai sensi del regolamento Europeo 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari.
Oltre al rispetto delle norme sull’igiene e sicurezza degli alimenti a seconda dell’attività svolta (semplice conservazione e distribuzione oppure estesa alla preparazione e trasformazione), è quindi necessaria in ogni caso la notifica alle autorità di controllo sanitario.
Le distinzioni iniziano invece a percepirsi guardando ai requisiti professionali per l’esercizio dell’attività.
Il d.lgs. 59/2010 prescrive, per esercitare l’attività di commercio al dettaglio o somministrazione di generi alimentari, di possedere uno dei seguenti requisiti:
Il possesso di questi requisiti non è necessario per il laboratorio alimentare artigianale, che invece deve rispettare i requisiti previsti dalla legge quadro sull’artigianato n. 443/85.
Va precisato che la regolamentazione igienico-sanitaria dei luoghi di lavoro e degli esercizi commerciali varia a seconda del luogo dell’attività: è quindi sempre necessaria una previa verifica su requisiti o deroghe locali.
In generale, laboratori artigianali e piccoli esercizi di commercio al dettaglio si qualificano come “esercizi di vicinato”: la categoria di esercizi commerciali con requisiti meno rigorosi sia dal punto urbanistico che di sicurezza, anche in materia igienico-sanitaria.
Al contrario, una particolare attenzione (e un particolare rigore) vengono riservati agli esercizi di somministrazione di cibi e bevande, perché:
Uno dei requisiti normalmente più gravosi riguarda, ad esempio, la necessità di un bagno per la clientela, separato da quello per i dipendenti, che può risultare impossibile da installare a seconda delle caratteristiche costruttive dell’immobile.
Prendendo ad esempio le linee guida sui requisiti igienico-sanitari dei luoghi di lavoro per il Friuli-Venezia Giulia, si può notare che:
Inoltre, i locali destinati alla somministrazione alimentare devono essere sorvegliabili, secondo i requisiti previsti dal decreto ministeriale n. 564/92.
La qualificazione di un esercizio commerciale come di “somministrazione” è quindi legata alla presenza di spazi attrezzati per il consumo. Non esistono, però, chiare definizioni normative sui confini dell’attrezzatura, che sono quindi stati lasciati a prassi e valutazioni “di buon senso”.
Ad esempio, non sono considerati “attrezzati” gli spazi che presentano semplici piani d’appoggio, diversi da veri e propri tavoli.
È evidente che limitarsi a fissare confini sfumati risulta pericoloso per l’imprenditore, soprattutto in relazione al rischio che un locale destinato a laboratorio artigianale o commercio al dettaglio venga ritenuto “attrezzato” per la somministrazione. L’attività di somministrazione verrebbe di conseguenza esercitata in mancanza dei requisiti di legge, con tutte le conseguenze sanzionatorie.
Il decreto legge n. 223/2006, per garantire la libertà di concorrenza e un livello minimo uniforme di accessibilità ai servizi sul territorio nazionale (materie di esclusiva competenza Statale), aveva previsto una serie di attività che non potevano essere limitate dalla normativa regionale.
L’art 3, co. 1, lett. f bis) del decreto permette il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l’esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
Su questa norma si è acceso un dibattito. Il ministero dello sviluppo economico l’aveva sostanzialmente ignorata, continuando a ritenere che un’attività con attrezzature destinate al consumo sul posto dovesse essere ritenuta “somministrazione di cibi e bevande”.
L’autorità garante della concorrenza e gli operatori del settore avevano invece sostenuto una portata innovativa, che è stata infine accolta dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2280/2019.
La riforma, infatti, sposta il confine tra esercizio di somministrazione ed esercizio di vicinato (in cui normalmente viene esercitata la vendita al dettaglio o l’attività artigianale), prevedendo espressamente che un esercizio di vicinato possa utilizzare locali e arredi per favorire il consumo dei propri prodotti gastronomici.
L’attività preclusa all’esercizio di vicinato è solo la somministrazione assistita: in sintesi, il servizio al tavolo, come servizio ulteriore e distinto dalla vendita al banco: questa rimane semplice cessione di alimenti, compatibile con attività artigianale o di vendita al dettaglio, senza bisogno dei requisiti previsti per la somministrazione di cibi e bevande.