Con il DPCM 17/05/2020, applicato dal 18 maggio 2020, l’Italia è entrata pienamente nella “fase due” della gestione dell’epidemia, con necessità di contemperare
I giorni precedenti al 18 maggio hanno visto susseguirsi notizie contrastanti sulle nuove regole, con evidenti problemi di chiarezza per esercenti e cittadini. Diventa quindi necessario fare ordine tra le previsioni nazionali, regionali e i protocolli che circolano nella rete.
Sul governo della fase 2, la prima linea è stata affidata alle Regioni, che devono valutare:
Rimane il potere delle Regioni, anche al di là dell’ultimo DPCM, nel prevedere regole più rigide di quelle statali quando giustificate da un particolare aggravamento del contagio nel propri territori.
Ogni operatore economico deve quindi verificare innanzitutto la propria normativa regionale e confrontarla con quella nazionale per capire le regole da rispettare.
Per evitare una situazione eccessivamente caotica, la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha elaborato linee guida comuni, allegate anche all’ultimo DPCM e a cui si è rifatta larga parte delle Regioni.
Le linee guida elaborate dalla Conferenza delle Regioni e Province Autonome contengono 11 “Schede tecniche” che valgono come protocolli per i settori di:
Ovviamente, le regole previste cambiano da settore a settore e ogni operatore deve verificare la propria scheda. Esistono però alcuni principi, che possono essere considerati “di buon senso”, ripetuti trasversalmente e che possono essere tenuti presente come guida generale per le attività economiche e per la lettura dei protocolli.
Il gestore ha l’obbligo di informare chiaramente gli avventori sulle regole da rispettare all’interno dell’esercizio (locale / negozio / palestra / ecc.).
È opportuno apporre
Le linee guida INAIL-ISS pubblicate prima del DPCM del 17 maggio avevano messo in allarme soprattutto il settore della ristorazione, considerata la previsione di uno spazio non inferiore a quattro metri quadrati per ciascun utente. Tuttavia, tali linee guida costituivano semplice suggerimento al legislatore e sono state disattese dal protocollo Regionale.
Le regioni hanno ribadito come regola principale la distanza interpersonale di un metro, ormai consolidata in generale dall’inizio del lockdown, anche per la ristorazione.
La presenza di barriere fisiche, per esempio in plexiglass, normalmente consente una distanza minore
Sono previsti ovviamente casi particolari: principalmente per
Per i non conviventi / appartenenti allo stesso gruppo familiare non c’è obbligo di rispettare la distanza interpersonale ma questo avviene sotto l’autoresponsabilità di chi dichiara l’appartenenza allo stesso nucleo.
Per evitare che l’esercente sia ritenuto corresponsabile, e quindi limitare eventuali sanzioni agli avventori che dichiarino falsamente rapporti inesistenti:
Anche in questo caso, si tratta di principio ormai consolidato: la frequente igiene delle mani è una delle misure principali per la protezione dal virus ed evitare la contaminazione degli ambienti
I dispenser di soluzioni igienizzanti vanno resi disponibili sia all’entrata che, normalmente, in più punti dell’esercizio, in modo tale da essere facilmente raggiungibili.
Vanno inoltre puliti regolarmente, anche più volte al giorno (per esempio nella ristorazione).
I guanti non sono una necessità per i clienti (normalmente, nemmeno per gli esercenti e dipendenti), ritenendosi più efficace la frequente igienizzazione delle mani, soprattutto se sia possibile mantenere la distanza interpersonale.
E’ stato però previsto espressamente, per i negozi di abbigliamento, l’obbligo di rendere disponibili ai clienti guanti monouso per toccare la merce e sceglierla in autonomia.
Il DPCM 17/05/20 prevede in linea generale l’obbligo di utilizzare “protezioni alle vie respiratorie nei luoghi al chiuso accessibili al pubblico, inclusi i mezzi di trasporto e comunque in tutte le occasioni in cui non sia possibile garantire continuativamente il mantenimento della distanza di sicurezza“.
Sembra quindi che, nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, l’obbligo di utilizzare le mascherine valga sempre e per tutti.
Tuttavia, le linee guida Regionali (allegate al DPCM)
Da un’interpretazione sistematica e secondo criteri di specialità, quando si applicano le linee guida della Conferenza Regioni l’uso della mascherina (e in generale di protezioni alle vie respiratorie) va ritenuto obbligatorio solo quando espressamente previsto.
In generale, e salve le particolarità di alcuni settori
La corretta ventilazione diventa fondamentale per eliminare i c.d. “droplets” che possono veicolare il contagio.
Per le attività che utilizzino impianti di condizionamento / ventilazione diventa fondamentale contattare l’addetto alla manutenzione e verificare
È la modalità privilegiata dalle linee guida ma normalmente, non costituisce un obbligo (lo diventa per i servizi alla persona)
Gli elenchi delle prenotazioni vanno conservati per 14 giorni.
È necessaria adeguata pulizia e disinfezione dopo ogni utilizzo / cambio di utente.
Si tratta di una regola applicabile in ogni settore, per esempio
Anche su questo argomento argomento si percepisce spesso la paura degli esercenti: se un lavoratore si dovesse ammalare (ed eventualmente dovesse addirittura perdere la vita), il datore sarebbe esposto al rischio di risarcimenti e procedimenti penali?
Il dubbio è sorto perché lo stato di malattia da Covid-19 viene trattato dall’INAIL come infortunio sul lavoro.
Tuttavia, l’Inail stesso ha cercato di gettare acqua sul fuoco, anche attraverso un comunicato ufficiale del 15 maggio.
In realtà
La responsabilità del datore
Secondo quanto esposto dall’INAIL ” si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro. “