La recente sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite n. 11748 del 3 maggio 2019 ha risolto un contrasto giurisprudenziale in materia di vizi nella compravendita.
Per comprendere il problema e la soluzione della Corte, è opportuna una breve panoramica sull’istituto.
La compravendita, in generale (salvo quanto previsto da leggi speciali, come il “Codice del consumo” D.Lgs. 206/2005), è disciplinata dagli articoli 1470 e seguenti del Codice Civile.
L’art. 1470 c.c. definisce la vendita come il contratto che ha per oggetto
L’art. 1476 definisce “obbligazioni principali del venditore”, tra le altre, quelle di
L’art. 1490 ribadisce che il venditore è obbligato a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che
In presenza di un vizio, il compratore ha due scelte
Rimane in ogni caso fermo l’obbligo del venditore a risarcire il danno subito dal compratore (compresi i danni derivanti dai vizi della cosa), salvo che provi di aver ignorato i vizi senza colpa.
Il compratore deve denunciare i vizi entro otto giorni dalla scoperta, (salvo che la legge o le parti stabiliscano un termine diverso), altrimenti decade dalla tutela prevista.
Se però il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio, la denunzia non è necessaria
Il compratore è comunque soggetto a un termine di prescrizione brevissimo, di un solo anno dalla consegna. Se però il vizio sia stato almeno denunciato entro gli otto giorni dalla scoperta e l’anno dalla consegna, il compratore potrà sempre far valere la garanzia per paralizzare il diritto del venditore al pagamento del prezzo.
Ma cosa sono i “vizi“? La dottrina li definisce come “le imperfezioni o alterazioni del bene, dovute alla sua produzione o alla sua conservazione” (Torrente-Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, Milano, 2013).
Il concetto va tenuto distinto da quello di “qualità“, che invece riguarda la “natura della merce” e in particolare “tutti gli elementi essenziali e sostanziali che influiscono, nell’ambito di un medesimo genere, sull’appartenenza a una specie piuttosto che a un’altra” (Cass. 11749/19).
L’art. 1497 prevede che la mancanza delle qualità promesse o quelle essenziali per l’uso cui la cosa è destinata è una semplice causa di risoluzione del contratto, purché il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi. Non si applica la disciplina speciale in materia di vizi ma l’azione resta soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti per i vizi.
In via generale, chi agisce in un giudizio deve provare i fatti che fondano il suo diritto.
I requisiti per accedere alla tutela per vizi sono
In particolare, la prova del momento in cui è avvenuta la scoperta, dal quale inizia a decorrere il termine di otto giorni, potrebbe risultare impossibile, in mancanza di testimoni o altri elementi oggettivi di conferma.
La giurisprudenza quindi ha posto correttivi a tale onere, chiarendo che il momento della scoperta è solo quello in cui il compratore ne ha potuto raggiungere una “conoscenza obiettiva e completa” intesa in senso particolarmente rigoroso. Una “scoperta” ai fini del termine di decadenza potrebbe addirittura esistere solo dopo l’esito di una CTU (v. Cass. 6169/2011).
Residua il problema della prova sull’esistenza del vizio.
Astrattamente, possono ipotizzarsi due soluzioni:
In via generale, quando il creditore lamenta l’inadempimento a un’obbligazione, è il debitore a dover provare l’adempimento ai propri obblighi.
Muovendo da questa premessa, la stessa Corte di Cassazione aveva affermato, con sentenza n. 20110/2013, che:
Nell’esito di un giudizio, la ripartizione dell’onere probatorio è spesso fondamentale.
Dopo l’acquisizione di tutte le prove proposte dalle parti, una circostanza potrebbe rimanere incerta, non essendone provata né l’esistenza, né l’inesistenza. Il giudice, nel decidere la controversia,
In generale, come anticipato, chi intende far valere un diritto deve provare i fatti su cui si fonda.
A volte, applicare questa regola troppo rigidamente potrebbe causare situazioni paradossali (e in contrasto con i principi costituzionali) nelle quali un soggetto
Volendo evitare rigidità eccessive, la giurisprudenza ha quindi elaborato alcuni principi per precisare i confini degli oneri probatori
La sentenza 20110/2013 aveva affermato che la propria soluzione circa la suddivisione degli oneri probatori sull’esistenza dei vizi rispettava il principio di vicinanza della prova.
L’affermazione suscita perplessità.
La cosa venduta e della quale viene lamentato il vizio risulta, al momento del giudizio, fuori della sfera di disponibilità del venditore. Per il venditore risulta quindi normalmente impossibile provare che lo specifico bene oggetto della controversia è esente da vizi e/o conforme alle caratteristiche del tipo normalmente prodotto.
Salvi casi particolari, per esempio l’esistenza di aziende estremamente strutturate e dotate di un sistema di controllo di qualità, anche provare in giudizio la regolarità del processo di realizzazione o fabbricazione risulta, di fatto, un compito impossibile.
Inoltre, a ben guardare, l’acquirente che lamenta un vizio allega l’esistenza di una circostanza, una specifica caratteristica del bene acquistato, tale da diminuirne il valore o renderlo inadatto all’uso previsto.
Addossare al venditore, in via di principio l’onere di provare la consegna di una cosa esente da vizi, significa caricarlo della prova dell’inesistenza del vizio lamentato, e quindi di un fatto negativo.
La sentenza del 3 maggio 2019, come anticipato, stabilisce che l’onere della prova sull’esistenza dei vizi incomba, invece, sull’acquirente.
La corte, nel decidere
Soprattutto, però, la Corte sviluppa alcuni importanti principi e ragionamenti “in diritto”.
La Corte chiarisce che il concetto di “prova di un fatto negativo” si sviluppa diversamente con riguardo all’inadempimento e all’inesatto adempimento.
Nell’inadempimento, addossare la prova al creditore significherebbe obbligarlo a provare la non esistenza dell’adempimento, e quindi un fatto negativo
L’inesatto adempimento consiste invece nell’esistenza di un fatto positivo, come il vizio, diverso da quello atteso dal creditore. La Corte ritiene necessario, in questo caso, procedere a una verifica concreta caso per caso su
A monte, però, la Corte osserva che tutto il ragionamento seguito dalla sentenza n. 20110/2013 muove da un presupposto: che la consegna di una cosa viziata costituisca inesatto adempimento a una obbligazione del venditore.
Le Sezioni Unite demoliscono tale presupposto, affermando che:
La consegna di una cosa viziata